Entro Fuori le Mura (Arcipelago Itaca, 2021)

Entro Fuori le Mura (Arcipelago Itaca, 2021)

dalla Postfazione di Sandro Pecchiari 

progetto fotografico per le sezioni del libro Virginia Morini


(…) La realtà dei versi di questo libro è in alternanza continua tra paesaggi naturali (quelli che toccano i nostri aspetti più intimi e profondi) e realtà artificiali antropizzate fino a diventare a volte disumane: il percorso da fare è riuscire ad acquisire in modo attivo (e non accettarle passivamente) e armonizzarsi in tutte queste diversità. E considerare che
l’interazione rende possibile diverse sistemazioni del nostro io: riuscire ad esserci e essere compatibili o no nel confine labile delle mura. E sapere osservare con lucidità e descrivere tutte le sfumature dei luoghi nei nostri viaggi mentali. E che siamo contemporaneamente quello che siamo in un dato spazio-tempo ma anche tutto quello che avremmo potuto essere e/o avere: in fondo l’amore si avvicina a questo stato d’animo. (…)

Entro fuori le mura
Arcipelago Itaca, 2021

Nella moltitudine (Il vicolo, 2020)

Nella moltitudine (Il vicolo, 2020)

Nella moltitudine (Il vicolo, 2020)
Prefazione di Francesco Sassetto

Ci sono libri di poesia che si cercano, libri che capitano per caso tra le mani, libri che si attendono. È quest’ultimo il caso dell’ottima quarta opera di Monica Guerra dopo Semi di sé , Sottovuoto e Sulla soglia. In quest’ultima raccolta Monica mette ulteriormente a fuoco, con rigo- re e lucida consapevolezza, i motivi dominanti di un orizzonte poetico ed umano coerente, denso ed in- tenso, lungamente meditato per sfociare poi, in un breve giro di anni, sulla carta. Perché i testi vengo- no da lontano ed arrivano a farsi poesia – verso o “prosa poetica” poco importa – per stratificazioni successive di dati esperienziali che trovano il pro- prio habitus stilistico-formale, la loro piena e nitida espressione, solo nel tempo, costruendo un dettato poetico – e questo è ciò che conta – di forte impatto emotivo, sofferto e commovente (nel senso etimolo- gico del temine) nella sua disarmata verità, nella sua dolente umanità dove – non credo di esagerare – ogni parola è, per dirla con Ungaretti, «scavata nella mia vita / come un abisso». Perciò ho parlato di questo come di un libro di poesia «che si doveva attendere».

Varia e saldamente articolata appare la struttura compositiva dell’opera, divisa in quattro sezioni, quasi quattro “tempi” di una sinfonia. La prima,maddalene, composta di venti prose poetiche, l’architrave del libro, seguita dalle sezioni la cor- rente del silenzio e nella moltitudine che riunisco- no nove brevi liriche ciascuna, per chiudersi con page8image1544nel conto alla rovescia, che racchiude altre sei prose, mesta elegia della perdita irreparabile. L’intera raccolta, ma soprattutto le maddalene, una sorta di “stazioni”, riflessioni e pensieri di un cammino che mira ad un futuro da scrutare con la voce dentro il pugno, è intrisa di vocaboli ed espressioni di ascendenza evangelica: troviamo infatti, più volte, il cerchio spinato, il chiodo, ledodici parole sul copriletto e soprattutto – fin dai titoli delle sezioni – nella moltitudine e maddalena, interlocutrice della prima sezione. Una mad- dalena che, al di là delle identificazioni possibili, è figura di donna vicina a Cristo, cui Monica si rivolge con un “tu” che è, oltre che un “alter ego”, un “noi”, la moltitudine: «io è tanti…», quell’«io retrattile e sconosciuto / per raggiunger- si nella moltitudine», come scrive nella lirica che chiude la sezione omonima. Un linguaggio conno- tato, dunque, anche dal rinvio ai lessemi simboli- ci di una laicissima religiosità che parla all’uma- nità intera, si fa canto universale. E questa è poe- sia vera ed alta, che non vuole insegnare, non ha verità né certezze assolute, può solo indicare unmodus vivendi più pieno e sapido. In questa silloge la poetessa instaura un dialogo assiduo con il lettore, dialogo che cattura, trascina, suggerisce in quale direzione procedere, addita una traiettoria possibile oltre la soglia del dolore e la disfatta quotidiana, per tentare di giungere a scrutare il lato eterno delle cose attraverso l’intercapedine, una sorta di “passaggio” tra la sofferenza e la speranza, il silenzio e la voce, percorrendo i cunicoli, le pieghe dell’esistenza – termini-chiave che ricorrono più volte, come fil rouge, in questa e nelle altre opere dell’autrice – in un incessante lavoro di scavo nelle profondità dell’anima, nellapage8image18392page8image18816page8image18976 consapevolezza che l’intarsio è l’unico perimetro che rimane ed ogni destinazione è un incrocio. Colpisce la capacità di Monica Guerra di creare testi poetici e prosastici densamente allusivi e metaforici, a volte “visionari”, ma senza alcuna concessione ad orfiche oscurità né a scivolamenti autobiografici per quanto la scrittura sia impasta- ta di esperienze vissute e dunque, concreta, mate- rica, ancorata alla terra ed agli eventi dell’esi- stenza, come mostra bene l’alto tasso di occorren- ze di vocaboli che si riferiscono ad oggetti, am- bienti ed eventi della quotidianità e del paesaggio naturale, quel paesaggio che affonda le radici nel- la giovinezza tredoziese della poetessa. Termini come soglia, vetri, pioggia, neve, corrente, spi- ghe, margherite, seme, pelle, lenzuolo costruisco- no un tessuto linguistico di forte valenza evocati- va, che rimbalza all’interno dell’opera e nelle rac- colte precedenti. Basti guardare a come l’endeca- sillabo un non ti scordar di me tra le crepe della prima maddalena provenga direttamente dalla lirica d’apertura di Sulla soglia: «noi ci teniamo per mano / tra le crepe dei non ti scordar di me». Anima quest’opera, infatti, l’intima convinzione che sia da ricercare a tutti i costi l’unica via d’u- scita, la montaliana “via di fuga” che si traduce in una tensione verso l’altro, dolorosa e spesso fallimentare, ma che porta a guardare in facciaperdita, assenza, attesa, distanza. Senza trema- re. Senza fuggire il dolore, la solitudine, le lacera- zioni, come pure il mutare imprevedibile delle di- rezioni, gli equilibri precari perché il “viaggio” continua sempre, con una determinazione che porta la poetessa ad affermare – cito dalle madda- lene – che siamo tutti in «un cerchio spinato senza lo straccio di una direzione e la vita a giorni alterni è ombre superstiti o colpi da schivare». Senza retrocedere né annichilire, anzi, da questa lucida consapevolezza si genera la spinta, la pul- sione a salpare, malgrado «l’infrangersi dell’onda sulle aspettative o persino il repentino cambio di corrente», superare con coraggio la disfatta quo- tidiana senza facili soluzioni consolatorie ma con una volontà ferma di re-azione. Perché, come scri- ve nella chiusa di verrà, dicevi, la sera di piombo, lirica d’apertura della sezione nella moltitudine, modulata in cadenze pavesiane (come non pensare a «Verrà la morte e avrà i tuoi occhi?»): «l’attesa è un tempio / in cui si fa la fame». Bisogna allora «consumare bene le scarpe persino i piedi oltre la soglia del dolore e saper ribaltare i tavoli e qual- che volta le prospettive» per attraversare il pas- saggio che conduce alla pacatezza delle margheri- te. In questa continua dialettica, in questa aspira- zione ad un equilibrio il meno possibile precario vive l’universo poetico di Monica.

Decisiva appare la tensione verso l’amore. Valore assoluto e necessario, declinato nelle sue molteplici forme, momenti ed accadimenti. Amore per ifigli naufraghi, i propri cari, gli amici, l’amore di coppia con le sue distanze, le assenze, i silenzi che l’autrice descrive con dolente amarezza nella liri- ca incontrarsi per caso, in explicit de la corrente del silenzio: «[…] e non sapere più / niente di ciò che ora siamo / dopo tutto ciò che è stato / un pas- so alla volta / la stessa distanza.» Amore come unico punto di riferimento, anelito, stella polare:l’amore basti all’amore, senza bisogno di ragioni o spiegazioni. Amore che coincide «[…] dopo il pre- cipizio dei petali […]» con l’«esterrefatta bellezza che resta», verso conclusivo della lirica cantava- mo aprile – una perla tra le molte – che riconduce alla bellezza che rimane della prima maddalena. Pur tra le sue metamorfosi, gli scricchiolii, tutto è riconducibile ad esso e tutto si può ripensare entro la geografia dell’amore come pure, più avanti, nella poesia il giorno chiama direzione, la poetes- sa ribadisce come il solo strumento possibile ad indicare una direzione possa essere “la bussola dell’amore”.

La gratitudine è il gran finale: così Monica Guerra sigilla le maddalene. Una chiusa superba, coraggiosa, senza alcuna implicazione ideologica o religiosa. Qui si gioca tutto sull’enorme potenzia- lità e imprevedibilità dell’umano, del nostro esse- re fragili creature bisognose d’amore. Per non giungere nudi e vuoti al conto alla rovescia (splen- dido e terribile titolo) dove, nell’ultima prosa, «non si vince o si perde… siamo Uno», ricosti- tuendo in qualche modo, solo alla fine, quando il respiro è un barlume, quell’io smarrito nella mol- teplicità, frantumato e sgretolato dal dolore. Questa materia poetica, pur così travagliata, si traduce, sia nei versi che nelle prose ricchissime entrambe di assonanze e rime interne che si acca- vallano in una fitta trama di richiami fonoseman- tici, come si è visto anche dai luoghi riportati, in una modulazione del dettato poetico (anche nelle prose costruite quasi interamente su sequenze di endecasillabi), fluido e pacato, attraversato da una musicalità dolce e lieve che ricorda, a volte, un tono sommesso di nenia o preghiera, ma che conosce anche momenti e toni aspri e ruvidi, bru- sche frenate che spezzano o irrigidiscono l’anda- mento colloquiale.

Una scrittura varia nei modi e nei toni, che tra- scrive con efficacia tempi e momenti del pensiero- percorso dell’autrice, spaziando dalla dolcezza quasi materna al sussulto, la fermezza e la crudez- za, ripercorrendo le sospensioni e le tensioni dell’anima.

Una scrittura che rivela, sottotraccia, un fitto e variegato retroterra poetico di cui si scorgono in filigrana echi e reminiscenze – come già sottolineato – di molta letteratura del Novecento italiano, Montale e Pavese innanzitutto, come pure del lin- guaggio cristiano-evangelico, quale sostrato cultu- rale e linguistico ineludibile, che affiora qua e là nell’opera – in modo anche inconscio – influenzan- done alcune soluzioni lessicali. Penso ad alcuni vocaboli di ascendenza montaliana quali bufera, cigolìo, svaporare, scrutare, sgroviglia (tutti nelle maddalene) ed ad alcuni stilemi ed atmosfere decisamente pavesiane. Oltre al tema della “solitudine” – talora toccato con accenti vicini al poeta diLavorare stanca – si ritrovano nella raccolta mo- venze e ritmi che riecheggiano lo scrittore piemon- tese. Oltre ai due esempi prima citati si guardi anche all’incipit della penultima maddalena: «che strane tutte quelle sere randagie in cui mi giro e mi rigiro e la tua assenza è una mezzaluna che agita il lenzuolo, magari esco per strada […]» Un mate- riale linguistico-espressivo, dunque, che ha radici profonde nell’amalgamare moduli stilistici di varia provenienza ma del tutto assorbito nella personalissima ed affascinante voce poetica di Monica.

Voce che in quest’opera percorre un difficile, solitario cammino segnato da solitudini e silenzi, as- senze e distanze, ferite e fallimenti, dove sembra regnare la disfatta e il nonamore, dove nulla ri- torna proprio come è stato, alla ricerca sotto pel- le, in sé e nella moltitudine, di un seme di senso in una piantagione di silenzio. Per sé e per gli altri. Un seme da raccogliere e da coltivare.

 

Sulla Soglia – On The Threshold

Sulla Soglia – On The Threshold

Sulla soglia / On The Threshold
Samuele Editore 2017, collana Scilla

prefazione di Flavio Almerighi

pag. 110

Isbn. 978-88-96526-97-2

Dalla prefazione:

I am convinced that, to the best of my knowledge, very few contemporary authors have emotion/life/poetry bonds that are as immediate and essential as Monica Guerra. I first met her personally at a public reading one evening at which she presented a few fragments of what has since become Sulla Soglia/On the Threshold. It was the end of November 2016. I was very impressed by her poems, and by the way she delivered them. Poetry readings are usually full of contrition, the authors read their poems without lifting their head from the paper, with sweaty hands and a completely dry mouth, and most of the time they rush through the verses in a very monotone voice. The collective slumber, in these circumstances, becomes a must rather than an urge. Monica, however, read with so much passion that, near the end, two tears welled up in her eyes. This touched a chord deep inside. I realize that everyone “feels” a poem’s beauty before thinking about its meaning, but that deep emotion, so rare, and so true, made me think that the real signifier behind those words was people, souls. At the end of the evening Monica explained to me, almost as if she was trying to excuse her surge of emotion – such a rare event at a reading, especially in this country –, where the verses came from, and the urgency behind them. I convinced her that these poems should become a book, they should be released to reach the greatest number of souls possible. Those verses have become a book, they’ve been released, and will reach the greatest number of souls possible.

 

Sono convinto, quantomeno in base alle mie conoscenze, che sono veramente poche le autrici contemporanee che hanno nessi emozione/vita/poesia così immediati e necessari come Monica Guerra. L’ho conosciuta personalmente una sera in cui ho assistito alla pubblica lettura di alcuni frammenti tratti da quello che sarebbe poi diventato Sulla Soglia. Era la fine di novembre del 2016. Rimasi molto colpito sia dai testi sia dal modo con cui l’autrice li proponeva. Solitamente i reading di poesia sono qualcosa di molto compunto, in genere gli autori tra la fantozziana “salivazione azzerata”, le mani sudaticce e la voglia di strafare, leggono tutti i propri testi senza mai sollevare lo sguardo dal foglio, e finisce spesso che lo fanno il più in fretta possibile, senza mai cambiare tono. Il sonno collettivo più che un’istigazione è un dovere. Monica invece ci mise talmente tanta passione che, verso la fine, le spuntarono due lacrimoni. Tutto questo toccò profondamente le mie corde. Do per scontato che ognuno senta la bellezza di una poesia prima ancora di pensare al suo significato, ma quella profonda commozione, così rara, così autentica, mi fece pensare che il vero significante dietro quei testi sono persone, anime. Terminata la serata quasi per scusarsi per l’onda emozionale, merce rara in una pubblica lettura di poesia specialmente in questo paese, Monica mi spiegò cos’erano quei versi a da quale urgenza sono venuti. La convinsi che quei versi dovevano diventare un libro, uscire, raggiungere il maggior numero di anime possibile. Quei versi sono diventati un libro, sono usciti e raggiungeranno il maggior numero di anime possibile.

Flavio Almerighi

 

menzione d’onore alla XXXII edizione del premio Lorenzo Montano

 

 

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pubblicato in lingua spagnola per Uniediciones con traduzione di Antonio Nazzaro, maggiori informazioni qui

Sotto Vuoto (Il vicolo, 2016)

Sotto Vuoto (Il vicolo, 2016)

Sotto Vuoto (Il vicolo, 2016) 
prefazione Gianfranco Lauretano

Le poesie di Monica Guerra sono fatte di poche, scelte parole. Nella sua voce conta molto lo spazio lasciato al silenzio, all’ascolto, alla sospensione: ad ogni componimento, spesso assai breve, quasi ad ogni verso, è come se ricominciasse da capo, ascoltando se stessa e il mondo di cui vuole parlarci. Da quando abbiamo avuto il privilegio di avere un poeta come Ungaretti che ha scritto nella nostra lingua, sappiamo bene cosa significa ciò: il poco serve a ritrovare un ampio valore. Quando un poeta scrive con parole limitate, dunque, sta cercando e donando una grande ricchezza; le sue parole sono come gli spiccioli per i poveri, un tesoro fortuito e stupendo. La metafora della pochezza e del centellinare viene detta più volte in queste poesie: «Da questo poco sospeso / tutto si fa chiaro e ogni cosa sta / nell’esattezza del proprio posto» afferma, guardando il mondo “dal terrazzo” (dove, si noti, il poco sospeso è ciò che rimette ogni cosa al suo posto); oppure, di fronte all’immensità della Russia, il paese più vasto della Terra e alle sue due sterminate capitali, non può che tornare a ricordare i suoi “minuscoli versi”: «Che non posso fare / a meno di bere dalle tue forme gioconde / un grano di bellezza / che i miei minuscoli versi / possano sgrondare / lungo le perle bianche della tua corrente». Ma è proprio a questo punto che la sua ricerca poetica, davvero molto seria e degna della massima attenzione, compie uno scatto ulteriore: nel mancamento stesso della parola e dell’altro da noi ritroviamo il massimo di noi stessi, nel bene e nel male.

Vincitore Primo Premio Giovane Holden 2017
Menzione alla XXI edizione del premio Lorenzo Montano

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Semi di sé

Semi di sé

Semi di sé (Il Ponte Vecchio, 2015)

La poesia di Monica va decisa oltre le apparenze, affonda nel mistero dell’animo, alla ricerca di quella luce che sola trova e che dà senso all’umano, al vivere, all’oltre, perché il suo tavolo è tondo e lì ha amato tutti.
Il coraggio è una via nella quale ci si può sedere a metà, e le parole a volte sono di latta sotto un cielo di piombo e il poeta soffre l’impotenza del dire nel dirsi.
Questa è la poesia di Monica, il seme di sé: immersione nell’humus sacro di una terra resa fertile dalla sofferta consapevolezza, dalla determinazione di superare i limiti dell’ovvio, nella rincorsa non svenduta della verità senza compromessi, della bellezza, del sogno, e soprattutto della parola rinata, ripulita, risvegliata.

 

Il respiro dei luoghi (Il vicolo, 2015)

Il respiro dei luoghi (Il vicolo, 2015)

Il respiro dei luoghi, conversazioni con Monica Guerra, di Daniele Callini

È possibile leggere i luoghi, intesi come spazi esi- stenziali e sociali, oltre che fisici, anche attraverso categorie simboliche, estetiche, affettive? I luoghi producono veramente percetti e precetti, capaci di influen- zare cognizioni e azioni degli attori sociali? In che modo le storie di questi ultimi si radicano nel loro sistema-ambiente, tra- sformandolo, e orientando i processi culturali di costruzione delle realtà sociali? Può la categoria antropologica del genius loci guidare l’interpretazione dello spazio circostante? Gli archetipi del viaggiare e dell’abitare costituiscono un passepartout per la comprensione ontologica della condizione umana? La post-modernità cosa ha modificato dell’idea di spazio, della relazione dei soggetti con i luoghi, della rap- presentazione sociale del mondo della vita?
Questi gli interrogativi di fondo che, senza trovare risposte esaustive, hanno accompagnato le conversazioni di DANIELE CALLINI, sociologo, accademico e interprete della contemporaneità con MONICA GUERRA, poetessa, imprenditrice, viaggiatrice, che nel corso della vita ha attraversato molti luoghi, e per vari motivi, esistenziali, di studio, professionali, di loisir e di crescita personale.